I MISTERI DI ZANZIBAR
una nuova puntata de
LE AVVENTURE DI FLASCO
[Il mitico, insostituibile (basta sennò ti monti la testa) dottor
Franco Foschi]
Novembre 2004
Dopo gli ostelli russi della Lettonia, Zanzibar ha la consistenza dei sogni. E soprattutto i colori, così risolutamente veri da sembrare falsi. Oggi mi sembra di vivere dentro a un depliant. La sabbia è davvero bianca, il mare è davvero smeraldo, gli uccellini davvero gialli.
*Ho anche dormito in aereo. Una rarità.
*Prosegue lo strano karma delle mie scarpe. Le mie adorate
dockstep, che hanno scorrazzato per mezzo mondo, dai trekking più arditi alle passeggiate per Manhattan, si sono, appena arrivato a Zanzibar, letteralmente aperte. Producevano risate schioccanti ad ogni passo. Sembravo Charlot. Come farò ad andare a casa? In ciabatte? (Ieri, Malpensa: 5 gradi).
*Dormire, fuori il rumore del mare. Un letto immenso, una zanzariera quadrata. Il rumore del mare incessante è quasi silenzio. Ma le cornacchie e i corvacci vengono a fare salotto sulla veranda del bungalow, fino a tardi.
*Dongwe è il paradiso ormai istituzionalizzato. Però poi fuori di qui c’è l’Africa.
*Il ciccione ha un costume a pantaloncino, aderente, blu. Sui glutei sono disegnate due ali…
*Un gruppo di formiche si porta via un ragno intero. La rivincita dei paria. Per una volta King Spider ha perso.
*La periferia di Stone Town è come le periferie di tutte le grandi città africane. Un’accozzaglia di fango e lamiere arrugginite, e piccoli business sulla strada. Ma un posto è lindo e solare: il Salama Medical Clinic. Anche qui i medici conoscono qualche privilegio.
*E così sono un
muzungwu: un europeo. La polizia non mi ferma perché sono muzungwu, quindi per definizione
non posso dare problemi. Nello Zimbabwe, per esempio, era esattamente il contrario.
*Stone Town è percorsa in lungo e in largo da centinaia di culone Vespe Piaggio!
*Zanzibar è stata a lungo nell’orbita sovietica, lo certificano i grandi casermoni popolari (sembra di essere in periferia in Lettonia). Inoltre i
daladala (una specie di auto autobus) con i quali giro sono tutti cinesi.
*A sorpresa un emblema di integrazione, proprio qui: moschea e cattedrale anglicana sono esattamente una di fianco all’altra, separate da un basso muro scavalcabile con un oplà.
*KUMBUKUMBU YA HISTORIA YA WATUMWA
Un bel monumento che ricorda dov’era il mercato degli schiavi. Forte semplice, diretto: una buca scavata per terra, e dentro quattro statue incatenate per il collo.
*Livingstone, a sentire le storie che raccontano qui, doveva essere un gran figo… Nella chiesa anglicana c’è una piccola croce fatta col legno dell’albero sotto il quale è sepolto, nello Zambia (Chitambo).
*Strade, stradette, stradine piene di business, piove chediolamanda, il muezzin intona le sure del Corano che si spandono per la città. La città è mezzo coloniale, mezzo araba e mezzo niente. Ma tre mezzi non fanno una città.
*Un ciabattino, su un viale periferico. Sul panchetto sta squadernato tutto il prodotto del suo lavoro. Scarpe rappezzate in tutti i modi, con patchwork colorato su una scarpa nera, e cuciture di grana grossa. Di quando non si butta via niente. Proprio come noi…
*Hassim pronuncia SANSIBAA, senza la R finale.
*La prima cosa che impari quando entri a Stone Town è che ci è nato Freddy Mercury. Che ha vissuto none anni qui prima di trasferirsi in India, e che si chiamava Farok Bulsara.
*Le scimmie sono tutte piccole. Quelle con la schiena rossa si chiamano
colobus, quelle nere
bush baby (chiamare Bush una scimmietta mi sembra molto appropriato)
*La House of Wonders in definitiva è un gran bel posto. Splendido palazzo a tre piani, tutti terrazzati, un trionfo del colonialismo. Dentro, bellissime le scale elicoidi in mogano, e tutto sommato anche la collezione di abiti, suppellettili, barche, cultura locale. Più che dignitoso (un ricordo: il Museo Nazionale, a Kathmandu, ridicolo per miseria della scelte!)
*Ho preso un
dhow, una delle barche locali, per una gita all’isola Changu. Che di per sé non è nulla di speciale, ma l’obiettivo della visita, e cioè le tartarughe giganti, sono davvero affascinanti. Hanno 200 anni, e pesano 300 chili. Sono un palese sberleffo alla troppo veloce storia umana.
*Il saluto corrente è
jumbo. Con la ‘u’. Che è la forma contratta di una parola più complicata, e che significa
buona salute. Lo swahili è la quinta lingua parlata al mondo.
*A Changu, all’ombra di una grotta davanti al mare, sdraiato sul muschio, fuori una luce e un silenzio immensi, solo un grillo lontano. Tutto è un po’ zen, la cancellazione dei significati.
*Il 95% della popolazione è musulmana. Ma i pochi cristiani sono agguerritissimi. Padre Anselmo è un giovanissimo prete, magro, nerissimo, dal sorriso splendido come molti africani. La sua missione è un vulcano di iniziative, tutte lodevoli.
*Ho mangiato la zuppa di verdura speziata più buona del mondo. Dopo, il tonno alla brace più buono del mondo. Sono un uomo fortunato.
*Grande idea la deviazione alla Spice Farm. In Italia andiamo al supermercato e troviamo tutte le spezie che vogliamo, in barattolo. Qui vedi e assaggi e annusi cose di cui hai sentito solo parlare… Oggi la curcuma, l’ylang ylang, mi sono spalmato su una ferita la gomma iodata scolata da una incisione su un ramo, e mille altre cose affascinanti che ora nemmeno più ricordo. Da vero, astruso cittadino quale sono.
*Che spettacolo. Al mattino l’oceano indiano si ritira di un chilometro. Vai a passeggiarci dentro e ti accorgi che lì è tutto un pullulare. Magari senti uno
sguisc alle tue spalle, ti volti di scatto e non vedi niente… Allora pensi che il mondo è pieno, e tu non lo sai.
*SEI ore fa ho cenato swahili. Roba tosta, ma niente di che. Come sapori. Che però ora danzano in libertà nel mio piccolo stomaco iatale. Fino a quando?
*Prima mi ero lasciato convincere ad andare a vedere delle danze rituali masai. A parte forse l’edulcorazione
ad usum muzungwu, a parte la coloratissima eleganza e i monili fantastici, delle danze e dei canti non ci ho capito nulla. Un tizio cercava di spiegarmi: l’unica cosa che ho capito è che quelli coi capelli lunghi, uomini e donne, sono singles, mentre quelli rapati a zero (la maggioranza) sono sposati. Tra i rapati c’era un ragazzino che avrà avuto sì e no 15 anni…
*Cammino per un sentiero. Un varano grande come un cocker mi si para davanti. E allora, amico, chi passa? Controllo se anche il varano si comporta come un cane: non sopporta lo sguardo umano. Pochi secondi e si sposta di lato. Thank you, guy.
*Vado in gita. Una baia a sud est dell’isola. Un’ora e mezzo di jeep che mette a dura prova la mia prostata. Pensa, solo dieci, quindici anni fa…
*Il ragazzo, sulla barchetta che mi porta, è organizzatissimo. In tre minuti si scatena un nubifragio equatoriale. In due minuti aveva coperto la barca con una cerata.
*Sbarchiamo su una collinetta di sabbia in mezzo al mare. Non un albero, un arbusto, una pietra, niente. Solo legioni di granchi. Gli altri se ne vanno a fare snorkeling, io resto seduto, in cima. Potrei proclamare questa isoletta repubblica indipendente, aprire una banca, un paradiso fiscale, e sarei a posto. Ma poi mi hanno detto che al pomeriggio, con la marea, questa isoletta sparisce…
*Scendo a passeggiare su una secca muschiata lì vicino, color verde militare. Mi sdraio. Dapprima sembra ci sia un silenzio immenso. Poi, immobile, cominci a percepire un sottile cic-ciac. Sollevo un lembo di muschio. Sotto, milioni di conchiglie tutte indaffarate nei loro chissà quali impegni.
*Ci avviciniamo a un’isola. Alì cazzeggia. “Come si chiama quest’isola?” chiedo. “Quale” dice lui. “Quella lì davanti”. “Quale”. “Ma quella lì, dove stiamo andando!”. “Quale!” L’isola si chiama Kuale, con la k.
*Appena sbarcato, un nubifragio. Me ne sto un’ora sotto uno spuntone di roccia, non posso bagnare lo zaino, ho la macchina fotografica, il diario, i libri… poi mi vengono a prendere con una cerata, e via.
*Quattro donne cucinano per noi, sotto una tettoia di paglia. Pesce, riso. Un sugo rosso è buonissimo. Chiedo cos’è. Tamarindo. Ma va’!
*Poi mi offrono quindici tipi di frutta diversa appena colta. Spero solo che quelli astringenti siano potenti almeno quanto quelli lassativi…
*Tempo bastardo, oggi. Stamane quel nubifragio. Oggi pomeriggio bonaccia smaccata, manco una scorreggia di vento. Così si vanifica praticamente il più importante motivo per cui sono qui. Una bella smazzata di chilometri in jeep su pista in terra (poco) battuta per prendere la
ngalawa: che è una barca scavata in un unico tronco di mango, con bilancieri laterali come un catamarano. In condizioni favorevoli fila che è una bellezza, con la sua bella vela ruspante e rattoppata.
*La baia di Menai è bella e strana. In una piccola laguna separata dal mare aperto da uno stretto passaggio, tutta circondata da splendide mangrovie, acqua smeraldina, beh, era così grigio e caldo e senza un filo di vento (niente ngalawa!) che non ho nemmeno fatto il bagno.
*La missione di padre Anselmo è a mezzora di qui, dal Dongwe. Non ho trovato un bischero che venisse con me (anzi, qualche bischero) per prendere una macchina. ‘Fanculo, vacanzieri fighetti (me compreso, of course). Ma ho trovato almeno un escamotage per la mia ansia partecipativa: ho fatto un pacco con tutti i miei vestiti, e un tizio ha detto che glieli porta. Almeno quelli. Speriamo.
*Oggi, sul mare, mi sono mosso dal telo solo per cambiare fianco. Però ho letto da cima a fondo almeno dieci riviste di pediatria e un romanzo intero (certo non “I miserabili”…). Che fanatico.
*Sono cambiate le maree. Niente bagno
alla solita ora. C’era una sola pozza d’acqua, proprio dove di solito le ondissime dell’oceano indiano producevano divertenti capriole…
*‘azz, già verso casa… Alla fine un solo pensiero: dove vado la prossima volta?
*(
Amarum in fundo: a Fiumicino, ci fanno scendere tutti. Il volo è stato scelto a random per i cosiddetti ‘controlli sanitari’. Tutti giù, in coda fino a un controllo di Polizia dove mi danno un cartoncino giallo: da consegnare al mio medico se mi sento male nei prossimi quindici giorni! Ecco, questo è un
controllo sanitario, come Sirchia l’ha voluto. Unico risultato: invece che complessive nove ore di volo, diventeranno undici. Bah).
(di Fanco Foschi)